Liceo Artistico Klee-Barabino, Genova - Lavori delle classi - a.s. 2016/2017 - Cl. 2O - Materia: Italiano, Prof. Attilio Caffarena - La poetica del simbolismo e del decadentismo; Eros e Thanathos.

Liceo Artistico Klee - Barabino, Genova

Lavori delle classi, a.s. 2016 /2017

Ricerche e lavori cl. 2 O 

Materia: ITALIANO

Prof. Attilio Caffarena

LA POETICA DEL SIMBOLISMO E DEL DECADENTISMO: 

EROS E THANATHOS

 

 

Il Simbolismo è una corrente letteraria (e artistica) sorta in Francia alla fine dell’800 in opposizione alle correnti più diffuse all’epoca, il realismo e il naturalismo.
I simbolisti hanno infatti la tendenza a non rappresentare il mondo come esso appare esteriormente, ma a creare il mondo della suggestione fantastica dei sogni tramite allusioni simboliche. Charles Baudelaire è uno dei poeti più rappresentativi del simbolismo, insieme ad Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallermé.
La definizione "poeti simbolici" (symbolique) fu introdotta come reazione a quella di "poeti decadenti" che in quel momento aveva un significato dispregiativo. Alcuni simbolisti, inoltre, rivendicarono di avere un ruolo superiore ai decadenti e si determinò una “secessione”, con una nuova generazione di poeti che aderì quasi interamente al simbolismo, tanto che nacquero una serie di riviste come Le Symboliste (1886), La Vogue (1886), La plume (1889) e molte altre. In Italia, tendenze simboliste si riscontrano in Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio e altri poeti.
Gli aspetti principali del simbolismo sono i seguenti:
  • la poesia è musica.
  • il poeta non deve descrivere la realtà, ma cogliere le impressioni più indefinite suggerite dalle emozioni e dagli stati umani.
  • Bisogna utilizzare immagini sfumate, parole non descrittive ma evocatrici.
  • Il poeta va a cogliere le profondità dell’animo umano, i desideri dell’inconscio e i sogni, andando al di là della realtà percepibile con i sensi: per questo si utilizzano figure retoriche come la metafora, l’analogia e la sinestesia.
Il Decadentismo è un movimento artistico e letterario sviluppatosi in Europa, ma nato in Francia nel 1870 circa. Anche il decadentismo, come il simbolismo, nasce in contrapposizione con il naturalismo e il positivismo scientifico. Il termine, inizialmente usato in senso dispregiativo, indicava una nuova generazione di poeti che fece scandalo per il rifiuto esplicito della morale borghese e positivista. Ha poi assunto anche un valore positivo, ossia Decadentismo inteso come nuovo modo di pensare, diversità ed estraneità rispetto alla società contemporanea. All’ottimismo e alla fiducia completa nel progresso come fonte di benessere, alla ragione come unico modo sensato di osservare oggettivamente la realtà, i decadenti contrappongono una visione soggettiva e individualista della realtà. Il mondo corrisponde con l’io, in quanto la realtà è espressione della percezione che ne ha il singolo. Alla luce di queste premesse, gli artisti decadenti scoprono la psicanalisi e cercano di far emergere l’io remoto, il subconscio, quella parte repressa e soffocata dalle norme morali e civili imposte dalla società. La letteratura decadente rifiuta regole e convenzioni, ponendosi al di là e al di sopra del Bene e del Male comunemente intesi.
La poesia decadente non ha fini morali o educativi: libera, musicale, allegorica, con un lessico vago e indefinito, ha lo scopo di evocare e di far scoprire al lettore l’ignoto e l’irrazionalità. Il poeta è quindi un veggente.
Tra le tematiche più affrontate dai decadenti europei ci sono:
  • Pessimismo, solitudine, male di vivere
  • Amore e Morte (i principi di Eros e Thanatos presi in esame dalla psicoanalisi)
  • Esoterismo, mistero, oscuro
  • Malattia, follia, nevrosi, delirio, allucinazione, sogno.
  • Ricerca di corrispondenze e analogie intime tra sentimenti e stati d’animo e natura.

Decadentismo e simbolismo, quindi, hanno molto in comune, tanto che alcuni autori simbolisti come Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud vengono definiti sia simbolisti che decadentisti. Charles Baudelaire è considerato il poeta simbolista per eccellenza e precursore del decadentismo che progressivamente assumerà i caratteri di un vero e proprio movimento artistico e letterario i cui caratteri, del resto, si riscontrano già dalla prima metà dell''ottocento in un autore americano al quale lo stesso Baudelaire riconoscerà un'impotanza fondamentale: Edgar Allan Poe








Charles Baudelaire

A UNA PASSANTE

La via assordante strepitava intorno a me.
Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore
immenso, passò sollevando e agitando
con mano fastosa il pizzo e l’orlo della gonna
agile e nobile con la sua gamba di statua.
Ed io, proteso come folle, bevevo
la dolcezza affascinante e il piacere che uccide
nel suo occhio, livido cielo dove cova l’uragano.
Un lampo, poi la notte! – Bellezza fuggitiva
dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere,
ti rivedrò solo nell’eternità?
Altrove, assai lontano di quì! Troppo tardi! Forse mai!
Perchè ignoro dove fuggi, né tu sai dove io vado,
tu che avrei amata, tu che lo sapevi!


  Il testo poetico è suddiviso in quattro strofe; lo attraversa una sorta di raggio malinconico in tutta quella passione.
Il poeta è abile nell'alternare il fuoco di Eros al ghiaccio di Thanatos, riesce a mozzarti il fiato con le antitesi, a farti scaldare e a placare la passione attraverso una visione cupa della vicenda che fugge, che è un attimo.
In un atimo si percepisce il desiderio immenso destinato a non concretizzarsi... magari, diventare poesia.
Direi che l'espressione più significativa di questo testo è "...bevevo la dolcezza affascinante e il piacere che uccide nel suo occhio...", la perfetta rappresentazione dello scontro tra Eros e Thanatos.
Il verso che più mi ha toccato è "Un lampo, poi la notte!" che ho interpretato semplicemente come "Ora c'è...ora non c'è più..." : direi, la perfetta rappresentazione della paura.

Lorenzo Coli




Eros e Thanatos sono termini riferiti ad istinti primordiali che sono espressi da due concetti molto diversi. In letteratura quello di Eros rappresenta la dimensione dell'amore e dei desideri carnali appartenenti ad un personaggio o ad un io poetico. Thanatos invece è in rapporto ad aspetti che riguardano pulsioni e rappresentazioni di morte. Nella poesia
A una passante vengono entrambi evocati da Charles Baudelaire nel contesto di una vicenda vissuta dall'io lirico. Ciò si evidenzia sin dalle prime due strofe nelle quali il poeta descrive le sue emozioni nell'aver visto passare davanti a se, in mezzo al rumore della folla, una donna vestita a lutto. Il poeta, alla sua vista, si sente invadere da un forte impulso sessuale che in qualche modo si alimenta di un sentimento negativo. Il fatto di provare questa attrazione pur essendo consapevole che quella donna poteva appena aver perso una persona a lei cara si esprime potentemente in relazione all'immagine dell'occhio della donna rappresentato come un cielo livido dove si nasconde un uragano che diventa metafora del pianto e del dolore.

Andrea Piredda






 Giovanni Pascoli

IL GELSOMINO NOTTURNO

E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.

Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolìo di stelle.

Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento...

È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova

 
La poesia presenta una moltitudine di simboli. Sin dal primo verso vengono messi a confronto i due principi di Eros e Thanatos; l'apertura dei fiori infatti viene collocata nel momento del pensiero rivolto ai propri cari defunti. E' interessante vedere come questi due principi siano sempre collegati tra loro in un modo che è diretto, ma che Pascoli riesce abilmente a rendere latente. Il riferimento ai propri cari richiama il dolore provato per l'improvvisa e violenta scomparsa del padre del poeta e per qualla successiva del suo nucleo familiare a lui tanto caro che progressivamente andò a perdere.
Nella poetica di Pascoli ricorrono termini botanici, riferiti alla natura usati in funzione simbolica: ali, erba, i petali, la chioccetta possono ricollegarsi al concetto di Eros ma, alcune volte, si presentano accompagnati da termini cupi, scuri e crepuscolari; ad esempio, fosse ed urna conferiscono e assumono connotazioni diverse in relazione a termini di valenza erotica.
Un simbolo ricorrente che si inserisce nel contesto del mondo naturale è quello del nido che, oltre il suo significato letterale, assume quello di famiglia e attorno al quale ruota l'ossessione di Pascoli: la perdita del nucleo familiare.
Infine è come se la poesia fosse ricoperta da un sottilissimo velo cupo che si può intravvedere grazie a due parole poste una all'inizio del testo, ovvero crepuscolo ed una alla fine, alba. Queste parole rendono l'idea del tempo che scorre inesorabile, che può significare solamente la progressione verso Thanatos. Non a caso sono collegate in modo opposto rispetto all'ordine naturale (alba, crepuscolo) e possono creare un senso di disagio nel lettore; comunque si evidenzia la ciclicità di questi due termini in una relazione con la ciclicità tra Eros e Thanatos.

Federico Seves
 



Il titolo cela una metafora erotica, il gelsomino notturno è un fiore che attrae gli insetti per poi riprodursi. Anche la forma ricorda un calice (terza quartina), un utero.
I primi due versi rivelano come Pascoli presenti, in modo immediato, come reazione a un'immagine erotica il pensiero rivolto ai suoi cari defunti.
Nelle prime due quartine emerge il principio di morte in modo singolare tramite termini riferiti alla botanica (“fiori notturni” e “viburni”).
E’ sottolineato ancora il rapporto fiore – vita, in quanto il gelsomino, fecondato dagli insetti genera vita durante la notte, e quello fiore – sesso con una valenza negativa che parrebbe voler annunciare implicita l’idea di violenza (“petali gualciti”).
Il principio erotico viene riproposto con l’espressione “per tutta la notte”.
L’eros, con la passione, produce la vita, ma entra in una ambivalente relazione anche con la morte, come indica “l’urna” (ultima quartina), termine funebre e metafora dell’ovario del fiore e, allusivamente, dell’utero della donna.
L’ultima quartina, infine, è di fondamentale importanza, chiude l’intero discorso e chiarisce definitivamente il messaggio nel suo complesso, ribadendo i rapporti e i contrasti simbolici già accennati.
Avviene quindi questa opposizione simbolica tra VITA e MORTE, EROS e THANATOS attraverso le immagini del “calice aperto” del fiore, delle “fragole rosse”, (entrambe metafore sessuali) e delle “fosse” (tombe), evocate all’ultimo verso (terza quartina).
Nel momento stesso in cui il fiore si collega con la sessualità (Eros), richiama l’idea della morte (Thanatos).

Giada Venarotta





Giovanni Pascoli


DIGITALE PURPUREA


Siedono. L'una guarda l'altra. L'una
esile e bionda, semplice di vesti
e di sguardi; ma l'altra, esile e bruna,
l'altra… I due occhi semplici e modesti
fissano gli altri due ch'ardono. «E mai
non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti
più?» «Non più, cara.» «Io sì: ci ritornai;
e le rividi le mie bianche suore,
e li rivissi i dolci anni che sai;
quei piccoli anni così dolci al cuore…»
L'altra sorrise. «E di': non lo ricordi
quell'orto chiuso? i rovi con le more?
i ginepri tra cui zirlano i tordi?
i bussi amari? quel segreto canto
misterioso, con quel fiore, fior di…?»
«morte: sì, cara». «Ed era vero? Tanto
io ci credeva che non mai, Rachele,
sarei passata al triste fiore accanto.
Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l'aria; un suo vapor che bagna
l'anima d'un oblìo dolce e crudele.
Oh! quel convento in mezzo alla montagna
cerulea!» Maria parla: una mano
posa su quella della sua compagna;
e l'una e l'altra guardano lontano.
II
Vedono. Sorge nell'azzurro intenso
del ciel di maggio il loro monastero,
pieno di litanie, pieno d'incenso.
Vedono; e si profuma il lor pensiero
d'odor di rose e di viole a ciocche,
di sentor d'innocenza e di mistero.
E negli orecchi ronzano, alle bocche
salgono melodie, dimenticate,
là, da tastiere appena appena tocche…
Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate,
ospite caro? onde più rosse e liete
tornaste alle sonanti camerate
oggi: ed oggi, più alto, Ave, ripete,
Ave Maria, la vostra voce in coro;
e poi d'un tratto (perché mai?) piangete…
Piangono, un poco, nel tramonto d'oro,
senza perché. Quante fanciulle sono
nell'orto, bianco qua e là di loro!
Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono
di vele al vento, vengono. Rimane
qualcuna, e legge in un suo libro buono.
In disparte da loro agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,
l'alito ignoto spande di sua vita.


III
«Maria!» «Rachele!» Un poco più le mani
si premono. In quell'ora hanno veduto
la fanciullezza, i cari anni lontani.
Memorie (l'una sa dell'altra al muto
premere) dolci, come è tristo e pio
il lontanar d'un ultimo saluto!
«Maria!» «Rachele!» Questa piange, «Addio!»
dice tra sé, poi volta la parola
grave a Maria, ma i neri occhi no: «Io,»
mormora, «sì: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a
ciocche. Nel cuore, il languido fermento
d'un sogno che notturno arse e che s'era
all' alba, nell' ignara anima, spento.
Maria, ricordo quella grave sera.
L'aria soffiava luce di baleni
silenzïosi. M'inoltrai leggiera,
cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!
Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che, vedi… (l'altra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta
con un suo lungo brivido…) si muore!»

 
Il testo, di 75 versi, è diviso in tre parti di 25 versi ciascuna.
Ha come protagoniste due figure femminili che ricordano il loro passato giovanile tramite un flashback.
Le due donne appaiono subito caratterizzate da tratti in forte contrasto. Maria, è "esile e bionda, semplice di vesti e di sguardi", Rachele invece è "esile e bruna" e i suoi occhi "ardono": i ritratti rimandano a due tipi di caratteri e ad esperienze di vita opposte. Maria è figura pura ed innocente, Rachele è invece tormentata e disposta a sperimentare il proibito.
In un presente imprecisato il loro ricordo va al convento, alle "bianche suore", ai "piccoli e dolci anni", all’ "orto chiuso" popolato di piante e uccelli. A questo punto per la prima volta compare il "fiore di morte", la Digitale purpurea, un fiore malefico, capace di avvolgere l’anima di un "oblio dolce e crudele".
Solo alla fine della seconda parte in cinque versi, il fiore è ritratto in tutta la sua potenza malefica, visiva e olfattiva.
Nell’ultima parte, dopo aver rivissuto i ricordi degli anni lontani e prima dell’ultimo addio, Rachele confessa di aver infranto il divieto.
Ha visto da vicino il colore eccitante, ne ha goduto il profumo e l’esperienza è stata di una dolcezza infinita e mortale.
L’invito seducente espresso dal verbo "Vieni!" (fine v. 21 e inizio del v. 22) sembra essere voce del fiore che chiama a sé, ma forse è meglio interpretabile come richiamo suadente della morte, perché qui il fiore di Eros è anche il fiore di Thanatos.


Giada Venarotta






Le immagini sono riferite al Cimitero Monumentale di Staglieno a Genova, in particolare all'opera scultorea di Giulio Monteverde.
http://www.staglieno.comune.genova.it/it/node/45 

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